Le quattro eresie strategiche

 

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I Sette peccati capitali e i quattro misteri novissimi – Hieronymus Bosch

“Una strategia che ha funzionato, ovvero  che ha sbloccato un problema, ci ha anche descritto la struttura della persistenza di quel problema. Questo in termini di modello di intervento rappresenta il passaggio da una fase artigianale ad una tecnologica: i protocolli di trattamento basati sui sistemi percettivi- reattivi ci permettono di avere una struttura della soluzione che calza alla struttura del problema  ed il modello diviene efficace, efficiente e replicabile, trasmissibile e predittivo. In tal modo la psicoterapia può divenire una reale disciplina scientifica oltre che una semplice serie di tecniche terapeutiche basate su teorie tutte da dimostrare” (G. Nardone).

I punti cardine di maggiore differenziazione del pensiero costruttivista-strategico in rapporto alle ortodossie dell’attuale panorama dei modelli di psicoterapia, sono le seguenti quattro eresie (nel senso etimologico del termine, un eretico è colui che ha possibilità di scelta), elaborate dalla sistematizzazione proposta da G. Nardone e P. Watzlawick nel testo “L’arte del cambiamento: manuale di terapia strategica e ipnoterapia senza trance” (1990) e rese più evolute nel recente libro di G. Nardone “Solcare il mare all’insaputa del cielo: lezioni sul cambiamento terapeutico e le logiche non ordinarie” (2008).


Prima eresia ed effetti operativi

1“Che cosa è la verità ? Per la religione è una opinione sopravvissuta. Per la scienza è l’ultima scoperta sensazionale. Per l’arte è il nostro ultimo stato d’animo” (O. Wilde).

Richiamandosi direttamente alla moderna filosofia della scienza costruttivista (Bannister, von Glaserfeld, von Foerster, Kelly, Piaget, Wattzlawick e MRI di Palo Alto), la prima eresia constata l’impossibilità da parte di qualunque scienza di fornire una spiegazione assolutamente vera e definitiva della realtà. Non esiste una teoria scientifica unica e vera, ma le teorie vengono viste come parziali punti di vista, come strumenti da utilizzare e verificare.

Si passa perciò da: sistemi teorici chiusi a sistemi teorici aperti; da verità scientifiche a possibilità; dalla causalità lineare determinista a quella circolare ed elastica.

A livello operativo ne deriva che il terapeuta strategico non crede fideisticamente in alcuna teoria a priori, assoluta e vera, ma è un ricercatore disilluso che conta sulla propria consapevolezza operativa, sapendo che il criterio fondamentale di validazione di un modello terapeutico non è la sua architettura teorica, ma il suo valore euristico ovvero la sua capacità di produrre cambiamenti chiari e concreti.


Seconda eresia ed effetti operativi

3“Non posso certo dire se sarà meglio, quando sarà diverso; ma posso dire: è necessario che cambi, se deve migliorare” (G. C. Lichtenberg).

In base a quest’altra eretica prospettiva, a livello operativo il terapeuta non si focalizza sull’analisi del profondo o sulla ricerca nel passato delle presunte cause di un problema attuale, ma piuttosto si concentra su COME funziona tale problema, sul COME poterlo cambiare: si passa dai contenuti ai processi. Il ruolo del terapeuta è quello di aiutare la persona a risolvere il suo problema nel qui e ora (agendo direttamente sulle tentate soluzioni che mantengono la sofferenza) e acquisire attraverso l’agire esperienze emozionali correttive una nuova e diversa capacità di percepire e gestire la realtà (si punta al radicale cambiamento del sistema percettivo-reattivo dell’individuo e non solo al mutamento superficiale e sintomatico).


Terza eresia ed effetti operativi

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“La maggioranza delle cosiddette patologie psicologiche non funzionano sulla base di criteri e logiche ordinarie. Con esse si entra in un altro livello, quello delle logiche non ordinarie, ovvero un pensiero o un autoinganno personale si trasforma in credenza o certezza che a sua volta costruisce la realtà percepita, che a sua volta conduce alla reazione patologica” (G. Nardone).

La terza eresia riguarda i fondamenti teorici della processualità terapeutica: non si fa uso delle classiche nosografie psichiatriche e psicologiche (DSM, ICD10), ma piuttosto si inquadrano ipotesi del problema relative ai processi che presiedono alla persistenza e al cambiamento dei problemi umani. Sarà poi la soluzione a fornirci l’esatta consistenza del problema iniziale.

Ne consegue che anche le procedure mirate a provocare in fasi progressive il cambiamento, saranno assai diverse dalle classiche forme di psicoterapia. Il paziente dovrà essere guidato non solo a risolvere il suo problema (cambiamento di tipo 1), ma anche ad uscire dal proprio schema logico autoimposto che lo ha originato (cambiamento di tipo 2): serve un reale e concreto cambiamento o “salto” di premesse mentali (modifica del sistema percettivo-reattivo).

La responsabilità di tale guida al cambiamento è del terapeuta (e non di presunte incapacità del paziente ad adeguarsi all’intervento) che deve monitorare, attraverso indicatori specifici, i primi cambiamenti prodotti in tempi rapidi oppure deve elasticamente saper mutare il proprio ampio repertorio di strategie e tecniche.


2Quarta eresia

“Ci vuole un nuovo modo di pensare per risolvere i problemi prodotti dal vecchio modo di pensare” (A. Einstein).

Un’altra forte eresia a livello di strategie e processi di cambiamento riguarda un assunto base della maggior parte delle psicoterapie, ovvero la centralità del pensiero rispetto alle azioni. L’agire, in base a tale vecchi presupposti, segue il pensare, segue l’avere compreso le cause di un problema attraverso l’interpretazione, l’insight o i processi cognitivi: ne consegue che a livello operativo per cambiare un comportamento problematico si deve prima cambiare il pensare del paziente.

Invece dal punto di vista costruttivista-strategico vale il processo contrario: ovvero si parte dall’idea che per cambiare, prima si deve agire, ovvero fare concretamente qualcosa di totalmente nuovo e diverso. Sarà questo che modificherà il pensare della persona. E’ l’esperienza concreta e gli apprendimenti emotivi ad essa connessi che determineranno il nostro modo di percepire e reagire nei confronti della realtà. A livello operativo si va quindi dall’esperienza emotiva alla cognizione e non viceversa: solo dopo che si è prodotto un piccolo ma sostanziale cambiamento (attraverso specifici “compiti” pratici), la cognizione permetterà di ripeterlo con consapevolezza e divenire  bagaglio appreso dalla persona. Infatti, come è noto,“Tutto ciò che può arrivare all’intelletto, deve passare prima per i sensi”.

Il terapeuta è orientato pragmaticamente all’azione e alla rottura del sistema di percezione e retroazione disfunzionale che mantiene il problema: il tutto va proposto al paziente con modalità e tecniche indirette, focalizzate all’aggiramento delle naturali resistenze al cambiamento, proprie di ogni essere umano.

Il programma terapeutico si sviluppa perciò sulla base di rigorose strategie, ritagliate ad hoc in base alle peculiarità di quella specifica persona e degli obiettivi che ci si è insieme prefissati all’inizio del trattamento: tale programma è flessibilmente ri-orientato in itinere esclusivamente sulla base dei risultati concreti che si sono raggiunti e che si sono congiuntamente osservati (autocorrettività processuale).